Alcune considerazioni critiche

Perché una scuola di psicoterapia fondata sulla teoria che organizza l’intervento psicologico clinico e l’analisi della domanda?

La prima connotazione della scuola va individuata nella sua proposta di integrare l’analisi dei problemi di chi si rivolge allo psicoterapista con la teoria della tecnica che regge l’intervento psicoterapeutico. Ciò al fine di ovviare alla difficoltà insita nell’applicazione della tecnica che orienta la prassi, indipendentemente dal problema che il paziente pone allo psicoterapista. L’analisi dei problemi, d’altro canto, differisce in modo chiaro dalla nozione di diagnosi. Soffermiamoci qualche istante sulle aporie che la nozione di diagnosi pone a chi vuole orientare in modo scientificamente attendibile la prassi psicoterapeutica. Ci sono due modi di concepire la nozione di diagnosi in psicologia clinica:

a – diagnosi che fa riferimento ai repertori dei disturbi mentali, di matrice psichiatrica, quali il DSM-IV o l’ICD 10. In questo caso la diagnosi consiste in una classificazione dei sintomi presentati o denunciati dal paziente, riferibili ad un cluster di caratteristiche comportamentali o emozionali che lo psichiatra evidenzia, e che consentono anche una diagnosi differenziale tra le varie forme di disturbi. Questa modalità diagnostica presenta due problemi di grande rilievo, per chi intende proporre una prassi psicoterapeutica:

  • non viene prevista una analisi della relazione entro la diagnosi, ed a fondamento della stessa;
  • la diagnosi è strettamente fenomenologica, attenta alla fenomenologia comportamentale ed emozionale, quale può essere osservata e rilevata da un osservatore esterno; senza alcuna ipotesi eziologia o patogenetica della fenomenologia stessa.

Questi sono i motivi che rendono inefficace la diagnosi, così impostata, ai fini di orientare una scelta tra le differenti forme di psicoterapia od ai fini di orientare una scelta tra le differenti 10 strategie di realizzazione della psicoterapia. In particolare la diagnosi fondata sui repertori dei disturbi mentali sembra poco utile per indirizzare le strategie più efficaci di una psicoterapia ad orientamento psicoanalitico e psicodinamico, ove la relazione e la sua analisi sono centrali.

b – diagnosi basata sugli strumenti classici della psicodiagnostica psicologica, in particolare test proiettivi e test tematici volti ad analizzare differenti aspetti e componenti della personalità. In questo caso, gli elementi che sostanziano la diagnosi possono offrire utili elementi allo psicoterapista, qualora egli ricorra alla psicodiagnostica per una conoscenza della persona che chiede un’esperienza psicoterapeutica. Si tratta comunque di una conoscenza parziale, in quanto non fondata su una relazione diretta con il paziente ma mediata dagli strumenti psicodiagnostici. Conoscenza che può individuare caratteristiche della personalità del paziente, non elementi che caratterizzano la sua relazione con lo psicoterapista.

In entrambe le soluzioni diagnostiche ora menzionate, l’oggetto della diagnosi è il paziente con le sue caratteristiche sintomatologiche o le sue componenti di personalità. Ciò che manca, nelle due prospettive diagnostiche ora ricordate, è la dimensione relazionale del problema che porta il paziente dallo psicoterapista (relazione tra paziente e contesto entro il quale prende origine la problematica che motiva alla psicoterapia) e la dimensione relazionale con la quale il paziente riproduce il suo problema entro la relazione con lo psicoterapista. Pensiamo che senza questa ulteriore conoscenza sia difficile se non impossibile impostare e realizzare una psicoterapia di matrice psicodinamica. Di qui l’importanza di una conoscenza del problema vissuto dal paziente, quale può emergere entro la relazione di analisi della domanda.

Se l’attenzione al contesto è importante nell’analisi del processo contestuale che fonda il problema motivante alla psicoterapia, una analoga importanza riveste anche l’analisi del contesto entro il quale si realizza la prassi psicoterapeutica. Di qui la connotazione di “intervento” che la nostra teoria di riferimento conferisce alla psicoterapia, se esercitata entro contesti organizzativi specifici: ad esempio i servizi socio-sanitari, il terzo settore e le strutture di servizio ad anziani, handicappati, malati mentali gravi, emarginati sociali, adolescenti in difficoltà, tossicodipendenti. In questo ambito emerge in modo chiaro la difficile realizzazione di tecniche psicoterapeutiche “classiche”, che non tengano conto del rapporto tra committenza ed utenza della psicoterapia, del contesto che influenza il setting della psicoterapia, gli obiettivi, i modi di realizzazione, il pagamento, i tempi, le modalità di relazione tra psicoterapista e paziente. Queste dimensioni caratterizzanti la psicoterapia entro i differenti contesti organizzativi comporta l’utilità, se non la necessità, di una teoria della tecnica che consenta allo psicoterapista di utilizzare i vincoli contestuali quali risorse per gli obiettivi che intende perseguire, piuttosto che come remore all’applicazione “classica” di una tecnica che non prevede, appunto, vincoli contestuali.